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14/10/2014

Aids, 30 anni dopo restano ignoranza e stigma. Eterosessuali non a rischio per 80% italiani

Otto italiani su 10 pensano che la categoria degli eterosessuali non sia a rischio di contagio da Hiv, il virus dell'Aids, mentre è dimostrato che tra i nuovi infetti la maggioranza relativa - addirittura il 40% - è costituita proprio dagli eterosessuali. E' una delle contraddizioni emerse dalla ricerca di GfK Eurisko "Le conoscenze sul tema Hiv e la rappresentazione sociale del malato", realizzata col supporto non condizionato di Gilead. La ricerca ha coinvolto oltre 1000 persone in tutta Italia ed è stata presentata oggi a Milano: "I risultati dimostrano quanto la percezione del malato di Hiv sia ancora legata a stereotipi e false credenze dovute probabilmente a carenza di informazioni", ha detto Isabella Cecchini di GfK Eurisko. A trent'anni dall'esplodere della pandemia che ha anche cambiato profondamente anche il sistema di relazioni sociali nel mondo, il problema è come se fosse stato in qualche modo accantonato e la nuova disattenzione e la "carenza di informazioni" rischiano di incidere sulla prevenzione della malattia. Tra l'altro, a brillare per scarsa conoscenza e consapevolezza sono le nuove generazioni tanto che 9 giovani su 10 "ghettizzano" i malati di Hiv nella categoria dei tossicodipendenti. "Questo - ha aggiunto Cecchini - conferma che nonostante siano passati 30 anni si tende ancora a considerare l'Hiv come un problema che non ci tocca direttamente". La conseguenza di questa 'certezza' - si tratta di una malattia che può riguardare gli altri, ma non certo noi - è che lo stigma è onnipresente come in passato: due italiani su 3 affermano che si sentirebbero a disagio e sarebbero molto preoccupati se frequentassero una persona con Hiv. Non solo, sempre due italiani su 3 credono che il datore di lavoro sia legittimato a richiedere ai propri dipendenti il test Hiv. "Errori dovuti a carenza di informazione, la cui responsabilità - ha detto Rosaria Iardino, presidente onorario di Network Persone Sieropositive Italia - è da ricondurre alle istituzioni e alla politica. Da anni infatti non si sente più parlare di Hiv: a risentirne sono gli adolescenti, che si apprestano alle prime esperienze sessuali, e i giovani adulti eterosessuali che rappresentano oggi la popolazione a maggiore rischio di contrarre l'infezione". Quanto alla conoscenza delle terapie, il 74% degli intervistati è consapevole che l'Hiv non è curabile, ma può essere tenuto sotto controllo con i farmaci e solo uno su 3 (32%) ritiene che siano accessibili. "L'innovazione terapeutica ha avuto un ruolo fondamentale nel modificare il decorso clinico del paziente con Hiv: da quando sono state introdotte le terapie antiretrovirali nel nostro Paese (1996), l'incidenza dell'Aids e il numero di decessi l'anno sono progressivamente diminuiti", ha chiarito Giovanni Di Perri (Università di Torino), che ha spiegato come "oggi possiamo contare su nuove terapie monodose, più tollerabili e con meno effetti collaterali rispetto al passato, che hanno permesso di controllare la malattia nel lungo periodo, trasformandola in malattia cronica, al pari di diabete, disturbi respiratorie e cardiopatie". Il test Hiv resta uno strumento importante per individuare subito l'infezione e iniziare i trattamenti con antiretrovirali, ma meno della metà degli intervistati (46%) lo indica come strumento di prevenzione e controllo e solo il 3% ritiene vi si faccia ricorso. "Non va mai sottovalutata l'importanza della diagnosi precoce - afferma Andrea Antinori, direttore delle Malattie Infettive all'Inmi Spallanzani di Roma - . E' infatti dimostrata la correlazione tra l'inizio delle terapie e l'incremento della durata della vita". Invece, ha spiegato Antinori, "in Italia, su oltre 120mila persone con diagnosi di Hiv/Aids, il 15-20% non sa della propria sieropositività e nel 2012 almeno il 50% di nuovi casi di infezione diagnosticati era già in fase avanzata della malattia". La Repubblica - Salute

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