News

TORNA INDIETRO

10/05/2016

Il welfare ai privati è già realtà

Dai dati del Censimento 2011 dell'industria e dei servizi, da poco resi noti dall'Istat, emergono le profonde trasformazioni avvenute nel sistema economico del nostro paese nel primo decennio del nuovo secolo. Dal 2001 (anno del precedente censimento) al 2011 le unità produttive – comprendenti imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni non profit – sono aumentate del 9,3%, superando quota 4,7 milioni, mentre l'occupazione è più modestamente aumentata del 2,8%, attestandosi poco al di sotto dei 20 milioni (dal censimento è esclusa l'agricoltura). Considerata la particolarità del periodo, sarebbe stato interessante disporre di una rilevazione intermedia, come avvenuto nel 1996, che avrebbe consentito di analizzare separatamente il periodo 2001-007 dal periodo 2008-2011. Quasi tutto l'aumento dell'occupazione è infatti avvenuto nella prima parte del periodo, mentre nella seconda si è avuto un calo. Ciononostante alcune tendenze di fondo del nostro sistema economico risaltano in maniera nitida, segnando una profonda demarcazione rispetto a dieci anni prima. Innanzitutto, si è accentuata la terziarizzazione del sistema produttivo, con un calo di quasi il 14% in termini di addetti dell'industria, che ora ha un peso del 28%, mentre i servizi globalmente intesi si attestano al 72%. Ma il cambiamento più rilevante è la crescita del terzo settore a scapito della pubblica amministrazione. Le istituzioni pubbliche sono infatti diminuite in dieci anni del 21,8% in termini di unità e dell'11,5% come addetti, a fronte di aumenti, rispettivamente, del 28% e del 39,3% delle istituzioni non profit. Le imprese private sono anch'esse cresciute, anche se più modestamente (l'8,4% come unità e il 4,5% come addetti), ma qui in particolare si sente la mancanza di una rilevazione intermedia, come notavamo sopra. I due fenomeni speculari – arretramento della p.a. e crescita del non profit – si colgono in maniera evidente nel sistema di welfare. Nel settore dell'istruzione le istituzioni non profit contano nel 2011 per il 13,1% in termini di addetti, con un aumento del 76,3% rispetto al 2001. Il ruolo della p.a. rimane preponderante, con l'81,5%, ma in calo del 10,3% sul 2001. Nella sanità e assistenza sociale il non profit ha un peso molto alto, pari al 24%, con una crescita in dieci anni del 47,2%, a fronte di un peso della p.a. sceso al 43,5% per effetto di un calo dell'8,6%. Occorre aggiungere che in entrambi i settori cresce anche il ruolo delle imprese private, con incrementi dal 2001 al 2011 del 21,9% nell'istruzione e del 40% nella sanità. In quest'ultimo comparto il peso delle imprese private raggiunge ora il 32,5%. Quale giudizio dare di questi cambiamenti? E' chiaro che qui si confrontano due visioni opposte del ruolo dello Stato e dei privati nel welfare. Da una parte i sostenitori del sistema pubblico vedono con sfavore e preoccupazione l'arretramento dello Stato e degli enti pubblici, mentre dall'altra i sostenitori del non profit vedono nel successo del terzo settore l'affermazione di una terza via tra pubblico e privato. Qualche ulteriore riflessione sul non profit appare però necessaria. Ripartendo dai numeri, è evidente la forte eterogeneità di questo aggregato, che comprende le associazioni non riconosciute (ossia prive di personalità giuridica e costituite tramite scrittura privata), le associazioni riconosciute (nate con atto pubblico riconosciuto dallo Stato e dotate di autonomia patrimoniale), le cooperative sociali, le fondazioni e le istituzioni senza scopo di lucro costituite in altra forma giuridica, rappresentate principalmente da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative. La forma associativa è quella di gran lunga prevalente, con l'89,4% del totale delle unità giuridiche. A loro volta le associazioni non riconosciute prevalgono nettamente, con il 66,7%, sulle associazioni riconosciute (22,7%). Seguono le istituzioni costituite in altra forma giuridica (4,8%), le cooperative sociali (3,7%) e le fondazioni (2,1%). Se però guardiamo ai dipendenti la situazione appare molto diversa. Dei 680.000 addetti del terzo settore, quasi la metà (il 47,1%) lavora nelle cooperative sociali, mentre messi tutti insieme i dipendenti delle associazioni riconosciute e non riconosciute non vanno oltre il 21,6%. Le "altre forme giuridiche" rappresentano il 17,8% in termini di addetti e le fondazioni il 13,5%. Queste differenze tra composizione delle unità giuridiche e struttura dell’occupazione sono dovute principalmente all'enorme presenza nelle associazioni dei volontari, che raggiungono la cifra di 4,4 milioni (di cui quasi 3 milioni nelle associazioni non riconosciute), corrispondente al 92,6% dei volontari dell'intero universo non profit. Inoltre nelle associazioni si concentrano 192.000 lavoratori esterni (più del 70% del totale operante nel non profit), con una cifra quasi tripla nelle non riconosciute rispetto alle riconosciute. E' chiaro quindi che l'associazionismo, da una parte (specie quello non riconosciuto), e il mondo delle cooperative sociali e delle fondazioni, dall'altra, rappresentano due realtà molto diverse tra loro, che debbono essere trattate separatamente sia a livello di analisi sia a livello di policy, qualora si intendano proporre degli indirizzi di politica economica. A questo si aggiunga che a crescere di più nel decennio sono state le fondazioni (+102,1%) e le cooperative sociali (+98,5%), mentre l'aumento delle associazioni riconosciute si ferma al 9,8%. Questo indica – come si evince anche da altri fonti informative - che si sta andando verso una maggiore "strutturazione" del mondo non profit, che si dovrebbe tradurre in una sua maggiore capacità di incidere sulla realtà economica e sociale. Collegato a questo tema è quello della qualità del lavoro nell'universo non profit, specie per quanto riguarda le cooperative sociali, che abbiamo visto essere il principale serbatoio occupazionale del terzo settore. Anche qui si confrontano due impostazioni differenti, entrambe un pò manichee. Da una parte, i sostenitori delle imprese sociali tendono a idealizzare la realtà, mentre dall'altra parte i detrattori tendono a demonizzarla. I primi sottolineano sia l’opportunità di partecipazione al mondo del lavoro da parte dei soggetti svantaggiati sia il più alto grado di soddisfazione professionale e "meta-professionale" dei lavoratori. I secondi vedono invece nelle cooperative sociali soltanto delle forme di sfruttamento dei lavoratori, non diversamente da quanto accade nelle imprese for profit. Dove sta la verità? Il problema in molti casi nasce dal rapporto che si instaura tra istituzione non profit e istituzione pubblica. L'impresa non profit infatti spesso è demandata a rispondere a un bisogno sociale da parte di un committente pubblico alle prese con sempre più stringenti problemi di budget, dettati da esigenze di risanamento finanziario. Emblematico è il caso degli ospedali, in cui le cooperative sociali sono chiamate a sostituire il personale infermieristico interno, sottostando a rigidi vincoli di bilancio. Gira e rigira, si torna al problema del contenimento della spesa pubblica. La verità è che la salute e l'assistenza andrebbero valutate in un'ottica più ampia, guardando non solo ai costi ma anche alla qualità del servizio. Di qui però anche un altro significato. E cioè che per creare davvero nuova occupazione il non profit, più che sostituire la p.a. nell'erogazione di servizi "tradizionali", dovrebbe soddisfare una aggiuntiva domanda sociale. Cosa che in parte sta già facendo – ne è una prova la crescita dell'innovazione sociale – ma che potrebbe fare molto di più, se assecondato da una politica economica più mirata ed espansiva. da: Eguaglianza & Libertà

Chiedilo al CeSDoP

Per chiederci informazioni e ricerche bibliografiche

Dillo al CeSDoP

Per segnalarci libri da acquistare, eventi ed iniziative di cui sei a conoscenza

Normativa Droga

CeSDoP Newsletter