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12/08/2016

La giornata internazionale della gioventù "sprecata" - i dati Eurostat

Sarebbe però un grave errore pensare che quello della gioventù sprecata sia un problema che affligge soltanto i paesi più poveri. È vero anzi il contrario. Come documenta oggi Eurostat, all'interno dell'Unione europea i giovani (qui intesi come 15-29enni) sono circa 90milioni, il 17% della popolazione Ue. All'incirca, quanto tutti i cittadini tedeschi e svedesi messi insieme. Eppure, e in un continente che sta divenendo sempre più vecchio, le potenzialità di questa gioventù sono fortemente represse. Tra i 15-19enni europei il 6,3% è rappresentato da Neet, una percentuale che triplica tra i 20-24enni (17,3%) e che sale ancora avvicinandosi all'età adulta: il 19,7% dei 25-29enni europei (ovvero, circa 1 su 5) non sta studiando, non segue un percorso di formazione né lavora. Questa è una valutazione media, ma in alcuni Paesi, naturalmente, tali dati assumono tratti ancora più drammatici. Guardando alla fascia 20-24 anni, la palma di peggiore paese in Europa per i giovani va all'Italia. Il 31,1% (quasi un terzo) dei nostri ragazzi rientra nella definizione Neet, una performance peggiore anche rispetto a Paesi sfiancati da crisi e austerità come la Grecia (che si ferma al 26,1%). Un quadro drammaticamente peggiorato negli ultimi anni – dieci anni fa i Neet 20-24enni italiani erano il 21,6% –, che va a incrociarsi con un altro dato di fatto: l’Italia è un Paese sempre più vecchio, caratterizzato da uno dei tassi di natalità più bassi al mondo. Anziché valorizzare al massimo una delle risorse più scarse disponibili in Italia, ovvero la gioventù, ne dilapidiamo le competenze acquisite (in genere dopo lunghi e costosi anni di studio finanziati dalla collettività attraverso le scuole e università pubbliche). Sette giovani su dieci si vedono costretti a vivere con i loro genitori, nonostante la voglia d’indipendenza. Il tasso di occupazione dei maschi tra i 25 e i 29 anni, come documentato dal Sole 24 Ore, è calato da circa l’80% nel 2004 a meno del 60% nel 2014, mentre per le femmine, va ancora peggio: solo una su due in questa fascia d’età ha un’occupazione. Molti decidono di emigrare. Dal 2011 al 2015 i nuovi espatriati under 30, come documentato nei giorni scorsi dallo stesso quotidiano, sono raddoppiati nell’ultimo quinquennio: da 11mila a oltre 22mila l’anno. Coloro che rimangono sono dunque ancora più preziosi per il Paese. Rappresentano la generazione più aperta, istruita, digitalizzata, internazionale e sensibile alle istanze ambientali che l’Italia abbia mai avuto. Tutte le azioni finora messe in campo per provare a dargli spazio – compresa Garanzia giovani, che secondo l’Isfol ha successo in meno di un caso su tre – sono miseramente fallite. Dalla gioventù, dovrebbe essere ovvio dipende non solo un generico futuro, ma il futuro di ognuno. Dove il mercato da solo fallisce, intervenga la mano pubblica. Sia per promuovere innovazione e basi per una crescita sostenibile, sia per non lasciare solo chi rimane indietro: un lavoro minimo garantito per tutti è ancora un sogno possibile. greenreport di Luca Aterini

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