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23/09/2016

Droghe, integrazione comunità-servizi pubblici in Italia "modello da esportare"

Il modello italiano di integrazione tra servizio pubblico e comunità terapeutiche sul tema delle dipendenze funziona e va esporto. E’ quanto ha affermato Gilberto Gerra, responsabile Prevenzione droga e salute presso l’Ufficio antidroga e contro il crimine delle Nazioni unite (Unodc) nel corso del XVI° Simposio Ewodor dal titolo “Il modello di Comunità terapeutica come strumento di empowerment” organizzato a Roma da Dianova Italia, Dianova International e il Department of Special needs education (University of Ghent-Belgio). Un incontro di due giorni, a partire da oggi, sul ruolo delle comunità terapeutiche in un mondo in cui usi e consumi di sostanze stupefacenti stanno diventando sempre più complessi. Una realtà, quella delle comunità, che per Gerra oggi in Italia è ben integrato col pubblico. “I 540 servizi pubblici e quasi mille comunità terapeutiche o associazioni di privato sociale - ha spiegato Gerra - hanno raggiunto un livello di integrazione magico che tento di esportare nel mondo come un modello da applicare, evitando però tutto quel tempo in cui si è avuto un dibattito ideologico piuttosto sterile. Nonostante tutto, il sistema dei servizi ha un’ottima resistenza, con il sacrificio di tanti operatori. Questo sistema sta funzionando in maniera cento volte migliore di tanti altri paesi, anche europei”. Un’integrazione che non è stata facile realizzare, ha aggiunto Gerra. “Il nostro obiettivo è che gli altri paesi non perdano 20 anni a litigare - ha detto durante il suo intervento - ma possano iniziare subito a cooperare. I pazienti non sanno cosa è privato e cosa è pubblico nel sistema che viene creato. Abbiamo degli psichiatri a Parma che vanno a visitare le comunità terapeutiche per trattare i pazienti e di notte ci sono dei volontari delle comunità terapeutiche che vanno a fare volontariato nel sistema sanitario. C’è una fusione completa tra i due sistemi che è difficile distinguere. E questo è un modello che dovrebbe essere replicato in tutto il mondo”. Per Gerra, i punti di forza di questa integrazione tutta italiana sono “una visione antropologica non limitata al dire 'ti do un farmaco' o 'ti rifaccio un’agenda morale', ma che integra la componente esistenziale del riprendere in mano la propria vita e l’aiuto clinico e medico. Un’integrazione vincente”. Sebbene il caso Italia, per quanto riguarda la diffusione e la presenza di comunità terapeutiche, sia del tutto unico nel panorama Europeo, non mancano le difficoltà. Per Marica Ferri, dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Emcdda), si tratta di “un intervento che soffre di alcuni problemi - ha spiegato a margine del suo intervento -. Intanto è costo, perché residenziale. Poi le evidenze scientifiche non sono così forti come per altri interventi, per varie ragioni. Le risorse per fare ricerca possono non essere così disponibili. Bisognerebbe fare degli studi di followup per sapere cosa succede alle persone quando escono”. Tuttavia, spiega Ferri, “c’è una grande disponibilità” a intraprendere questa sfida. “Venti o trent’anni fa non si sapeva neanche cosa fosse l'evidence base - ha aggiunto Ferri -. Oggi è in tutti i documenti politici, dall'Ungass alla strategia dell’Ue, e anche da parte degli operatori comincia ad esserci più domanda. Si tratta di ricerche che richiedono grandi investimenti, ma intanto c’è una maggiore disponibilità e interesse. Ci sono paesi che investono di più in questa direzione, come gli Stati uniti e l’Inghilterra, mentre per altri è più difficile. Tuttavia mi sembra che il movimento in questa direzione sia ormai generalizzato”. Verso un pubblico che consuma e ha problemi con le sostanze sempre più diversificato, inoltre, per Ferri, “la risposta deve essere altrettanto diversificata. Quindi se da una parte c’è più bisogno di ricerca, dall'altra c'è più spazio per pensare interventi che non possono più essere ideologicamente gli uni contro gli altri, ma devono potersi adattare”. Il contesto italiano, però, soffre di un’assenza ormai cronica della politica sul tema delle dipendenze. Un vuoto difficile da non notare. “Sulla neutralità o assenza di una politica antidroga, sarebbe bene ci fosse una presa di posizione perché dopo l’assemblea generale Ungass, con l’Italia che ha preso questo impegno con gli altri 192 paesi, noi non possiamo dire che siamo già arrivati al livello stabilito dalla stessa assemblea”, ha affermato Gerra. E basta guardarsi intorno per capire che il lavoro da fare è tanto. “Oggi se andiamo a vedere la prevenzione nelle scuole - ha aggiunto Gerra -, questa grava ancora sulla libera iniziativa dei poveri insegnanti volenterosi e non c’è una politica di prevenzione sistematica”. Anche i Sert, per Gerra, sono in sofferenza: “hanno sempre meno personale e spazi più ristretti”. Per non parlare della ricerca scientifica sulle tossicodipendenza che per Gerra “si è seduta completamente”. “C’era stato un momento di vivacità e ora si è completamente fermata - ha spiegato -, anche perché non vengono dati finanziamenti minimi”. Un’assenza della politica e del governo che diventa anche un problema di risorse. “Non è un assenza del dipartimento in sé, ma è un problema di budget - ha aggiunto Gerra -. I tagli colpiscono i pazienti che hanno meno potere sociale. Se si toccano i fondi dei tossicodipendenti nessuno reagisce perché questa ombra di vergogna, di colpa e stigmatizzazione impedisce loro di essere ascoltati”. Assente all’appuntamento di oggi il direttore generale del Dipartimento politiche antidroga, Patrizia De Rose, che ai partecipanti del Simposio ha inviato un messaggio in cui assicura che “durante l’attuale discussione parlamentare sulla Finanziaria 2016, è stato affrontato il tema della riduzione del danno e della necessità di sperimentare servizi per i consumatori problematici ed è stata posta la questione di considerare questi ultimi al pari delle persone in condizioni di grave marginalità; tale equiparazione consentirebbe loro di usufruire delle azioni previste dalle politiche di coesione per le persone maggiormente vulnerabili”. Per De Rose, in ambito europeo e internazionale “il confronto tra istituzioni e società civile è sempre di più incoraggiato: l’accesso alle cure per tutti e, quindi, anche per i tossicodipendenti, la riduzione del rischio e del danno, l’assistenza sanitaria in carcere, l’accesso ai farmaci essenziali, la proibizione della pena di morte, della tortura e di altre forme di maltrattamento sono state tra le questioni centrali di Ungass 2016. In particolare, nella sessione speciale dell’Assemblea Generale sul problema delle droghe che si è tenuta a New York dal 19 al 21 aprile scorso, è stata sottolineata la necessità di affrontare le cause profonde del problema della droga, sia sul lato dell’offerta, con interventi di sviluppo socioeconomico nelle aree di produzione, sia nelle aree di consumo, con politiche di prevenzione e trattamento”. Redattore Sociale (ga)

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