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30/11/2016

Tra i giovani ci sono anche gli Eet (Employed-Educated and Trained)

«Gli Eet (Employed-Educated and Trained), quelli che ce la fanno – ha detto Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera – sfruttano le competenze acquisite e guardano all'attività d’impresa, ragazzi che hanno investito in istruzione e vinto il timore di mettersi in gioco». «A questi ragazzi occorre ridare la speranza, creando le condizioni affinché decidano di passare da una condizione di apatia a una di proattività – ha affermato il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini –. Le cooperative in questo senso possono essere di grande aiuto perché abbassando le barriere all'ingresso consentono di superare parte di quegli ostacoli che spesso fanno desistere chi vorrebbe puntare su se stesso e avviare un’attività d’impresa». «I giovani con una età compresa tra 15 e 29 anni che lavorano sono 2.630.000, pari all'11,7% degli occupati complessivi, e incidono sui redditi da lavoro per il 7,3%: un valore pari a 46,5 miliardi di euro, cioè il 2,8% del Pil» ha sottolineato il coordinatore della ricerca per conto della Fondazione Censis, Andrea Toma. I giovani che lavorano valgono 46,5 miliardi di euro, il 2,8% del Pil. I giovani con una età compresa tra 15 e 29 anni che lavorano sono 2.630.000, pari all’11,7% degli occupati complessivi, e incidono sui redditi da lavoro per il 7,3%: un valore pari a 46,5 miliardi di euro, cioè il 2,8% del Pil. Con differenze tra lavoro dipendente e indipendente: incidono per l’8% dei redditi da lavoro dipendente e per il 5,3% dei redditi da lavoro autonomo. Il costo dei Neet: 21 miliardi di euro di perdita di produttività. I Neet (i giovani nella fascia d’età 15-29 anni che non studiano e non lavorano) sono 2.349.000. L’aumento rispetto al 2007, quando erano 1.788.000, è stato rilevante: +31,4%. Il picco più elevato è stato raggiunto nel 2014 con 2.413.000. Il mancato inserimento dei Neet nel mercato del lavoro si traduce per l’Italia in un costo per perdita di produttività di circa 21 miliardi di euro, pari all’1,3% del Pil. Ecco gli Eet, i giovani che ce la fanno: vincono la crisi con servizi avanzati e web. Non siamo solo il Paese dei Neet. Oggi i titolari d’impresa giovani sono 175.000, di cui il 24,7% presente nel Nord-Ovest, il 15,7% nel Nord-Est, il 18,5% nelle regioni centrali, mentre nel Mezzogiorno la quota raggiunge il 41,1%. È vero che tra il 2009 e il 2016, a fronte di una riduzione complessiva del 6,8% dei titolari d’impresa in Italia, la componente più giovane degli imprenditori, con una età fino a 29 anni, subisce una compressione del 19,1%, perdendo poco più di 41.000 giovani aziende. Ma ci sono settori in crescita in cui le imprese guidate dai giovani mostrano invece un saldo positivo. La dinamica positiva vede crescere del 53,4% il numero dei giovani titolari d’impresa nei servizi d’informazione e altri servizi informatici, del 51,5% nei servizi per edifici e paesaggio, del 25,3% nei servizi di ristorazione. Nelle attività legate alla gestione di alloggi per vacanze e altre strutture per soggiorni brevi l’incremento è del 55,6%. Raddoppiano, inoltre, i giovani imprenditori nelle attività di supporto per le funzioni d’ufficio e i servizi alle imprese (+113,3%). Considerando solo i settori in cui si manifesta una dinamica positiva, tra il 2009 e il 2016 i titolari d’impresa giovani aumentano del 32%, passando da 27.335 a 36.079. Sono questi gli Eet (Employed-Educated and Trained), quelli che ce la fanno, sfruttano le competenze acquisite e guardano all'attività d’impresa. Investire in istruzione conviene, ma le donne guadagnano meno. Oggi il 43,5% di chi si è diplomato nel 2011 lavora e, fatto 100 il totale di chi lavora, il 25,3% è occupato con un contratto a tempo indeterminato e il 33,8% con un contratto a termine. L’11,5% ha scelto la strada del lavoro autonomo, mentre l’8,7% ha dichiarato di lavorare senza contratto. In termini economici, sono i dipendenti a tempo indeterminato a ottenere il livello retributivo più elevato, con un importo pari a 1.100 euro, mentre chi lavora come autonomo guadagna in media 811 euro, cioè meno del valore medio riconducibile a tutti i diplomati occupati (850 euro). Nel 2015, a quattro anni dalla laurea, il 72,8% dei laureati di I livello ha dichiarato di lavorare, contro il 19,7% che è in cerca di lavoro. I laureati magistrali hanno una migliore condizione lavorativa, dal momento che ha dichiarato di lavorare l’83,1% del totale. La quota di chi è in cerca di lavoro è pari al 13,1%. La quota di dirigenti, imprenditori e professionisti raggiunge il 59,2% per i laureati di II livello, mentre si ferma al 23,9% per chi è in possesso di una laurea triennale. La distanza fra i due gruppi si può misurare anche in base alla differenza di reddito guadagnato, pari in media a 117 euro a favore dei laureati di II livello. Questi ottengono 1.400 euro di reddito netto mensile, ma con una forbice non indifferente tra uomini e donne (rispettivamente, 1.575 euro e 1.300 euro). Gli effetti della crisi. La crisi ha colpito duro in questi anni. Nel 2007 si contavano 3.758.000 occupati nella fascia d’età 15-29 anni, nove anni dopo erano diminuiti a 2,6 milioni, con una perdita di 1,1 milioni, pari al 30% in meno. Una riduzione notevole, anche scontando la diminuzione della popolazione giovane, che nel periodo 2007-2015 è calata del 2,6%. Si è anche modificata la struttura dell’occupazione giovanile in base al titolo di studio. Nel 2007 il 31% degli occupati giovani possedeva un titolo di studio fino alla licenza media. Questa percentuale oggi è scesa al 22,5%. Gli occupati con il diploma passano dal 56,9% al 60,4%, ma più consistente è l’ampliamento della base occupazionale con la laurea, che cresce negli otto anni di 4,7 punti percentuali. Il 30% di occupati giovani in meno tra il 2007 e il 2015 è, in sintesi, la combinazione di una riduzione del 48,7% della componente meno istruita, del 25,6% in meno dei diplomati e del 3,7% in meno dei laureati. felicità pubblica

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