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18/05/2017

Verso la Settimana sociale: quando il lavoro c’è, ma non può dirsi “degno”

Tra dicembre 2007 e marzo 2017 il tasso di disoccupazione è passato dal 6,6% all’11,7%; quello della disoccupazione giovanile (15-24 anni) dal 21,7% al 34,1%, ma appena lo scorso dicembre era oltre il 40%. E anche tra chi un "lavoro" ce l'ha, precariato e tirocini "a vita" non consentono di fare progetti. In dieci anni di crisi è aumentata la disoccupazione, ma anche nell'altra faccia della medaglia – tra gli occupati – bisognerebbe distinguere tra chi ha un lavoro “degno”, riconosciuto e adeguatamente remunerato, e i tanti precari, sfruttati e sottopagati. Se ne è parlato a Roma, al convegno nazionale di Retinopera su “Il senso del lavoro oggi. Famiglia, giovani, generazioni a confronto sul presente e sul futuro del lavoro”. Perché, nonostante crisi e precariato, “non possiamo rinunciare all'idea che il lavoro è per la persona, è fondamentale per la sua vita”, ha dichiarato Franco Miano, coordinatore di Retinopera. Innanzitutto i dati: tra dicembre 2007 e marzo 2017 il tasso di disoccupazione è passato dal 6,6% all'11,7%; quello della disoccupazione giovanile (15-24 anni) dal 21,7% al 34,1%, ma appena lo scorso dicembre era oltre il 40% (dati Istat). Ancora, secondo l’ultimo Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo il 70% dei giovani che restano a casa non ha alternative e il 92,2%, nell'ultimo anno, non è riuscito a realizzare l’auspicio di emanciparsi dalla famiglia d’origine. Numeri che, al convegno, hanno assunto il volto di uomini e donne, a partire da Angelo Farano, 31enne di Taranto, che dopo anni di concorsi per avere contratti a progetto (faceva – ironia della sorte – il collocatore per Italia lavoro, ossia trovava una sistemazione in nuove aziende per lavoratori in mobilità o inoccupati) ora ha cercato “un modo per avere un sussidio” in “Garanzia giovani”, il progetto europeo che prevede finanziamenti nelle politiche attive, nell'orientamento e nella formazione per i Paesi con alti livelli di disoccupazione. E qui c’è un’altra anomalia italiana: in Francia, ad esempio, il 90% dei giovani che hanno avuto questo contributo sono stati indirizzati a un’occupazione, in Spagna l’84%, in Italia (dove l’età per beneficiarne arriva a 29 anni, mentre altrove si ferma a 25) solo il 31%. Da noi, nel 54% dei casi “Garanzia giovani” ha finanziato un tirocinio (l’8% in Francia, il 2% in Spagna), lasciando nel limbo del precariato. Di tirocini ne sa “qualcosa” Alessandro De Turres, 43 anni, che si definisce, appunto, “tirocinante a vita”. Da sette anni, per una paga di 400 euro lordi al mese che chiede il “diritto di esclusiva”, è tirocinante per il ministero della Giustizia e, come lui, altre 2.500 persone in tutt'Italia tra i 30 e i 55 anni. Il paradosso? “Per il mondo delle statistiche risultiamo occupati”, mentre In realtà “fin dal primo giorno ho lavorato, non è mai stato un tirocinio”, però – oltre al compenso risibile – non vi sono garanzie né “trattamenti previdenziali”. Analogo, e amaro, è il racconto di Barbara Saracino, ricercatrice universitaria. “Ho 36 anni e non mi posso permettere di avere una famiglia perché rallenterebbe la mia attività e il mio progetto di ricerca”, racconta. La svolta, per un ricercatore, è ottenere l’assegno di ricerca (poco più di un migliaio di euro al mese), che però non consente di fare progetti per il futuro, ma solo di mantenersi nel presente. “I ricercatori italiani sono tra i più bravi al mondo, però andiamo all'estero”, è la triste conseguenza che tratteggia Barbara. E meglio non va per i giornalisti: tante sono le firme sui giornali che non hanno un contratto, pagati pochi euro al pezzo per un lavoro che ha perso in questi anni riconoscibilità sociale, ma che ha una missione fondamentale per la democrazia: garantire “il diritto all'informazione”, osserva Mattia Motta, giornalista freelance e presidente della Commissione lavoro autonomo della Federazione nazionale della stampa. Eppure, precisa Motta, è difficile mantenere l’autonomia quando, ad esempio, si va a seguire un processo il cui pezzo frutta “al massimo 20 euro” e “qualcuno ti avvicina proponendoti centinaia di euro, subito e in contanti, per non scrivere nulla”. La svolta può venire dall'agricoltura? Il racconto di Daniel Fida, che con il fratello e un amico ha fondato l’azienda “Zafferano rosso” e coltiva zafferano sulle colline genovesi, apre alla speranza, ma con il freno di una burocrazia che fa perdere “giornate di lavoro” per portare avanti le antiche tradizioni, in un territorio non semplice, che richiede terrazzamenti e impedisce l’utilizzo di mezzi meccanici. Eppure sembra che proprio all'agricoltura si possa guardare con fiducia. A tal riguardo vengono in aiuto i dati di Coldiretti: 51.113 imprese agricole sono condotte da under 35; tra costoro il 50% è laureato e il 50% ha portato innovazione in azienda. Ma i dati più significativi sono immateriali: il 74% è orgoglioso del lavoro che fa e addirittura il 78% è più soddisfatto ora rispetto alla precedente occupazione. Un ritorno alla terra, dunque, che può rappresentare per tanti giovani un ritorno alla dignità del lavoro. Francesco Rossi Agensir

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