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08/08/2018

Cannabis contro il tumore al pancreas: da Biella una speranza in più per la terapia

La cannabis terapeutica, unita alla chemioterapia, aumenta di tre volte la sopravvivenza in caso di tumore al pancreas. È l’importante scoperta emersa da uno studio delle università Curtin (Australia) e Queen Mary (Londra) a cui hanno contribuito le ricercatrici della Fondazione Edo ed Elvo Tempia di Biella, Giovanna Chiorino, direttrice del laboratorio di genomica della fondazione, e Lidia Sacchetto, ora dottoranda del dipartimento di matematica del Politecnico di Torino. Il cannabidiolo (Cbd) è un cannabinoide naturale (metabolita non psicoattivo della cannabis sativa); ha effetti rilassanti, anticonvulsivanti, antiossidanti, antinfiammatori, favorisce il sonno ed è distensivo contro ansia e panico. In particolare, agisce come antagonista del recettore Gpr55 che è responsabile della crescita del tumore perché sovraespresso, ovvero prodotto in modo anomalo e maggiore, nelle cellule tumorali di pazienti con cancro al pancreas. Le reazioni La ricerca è stata pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista scientifica internazionale «Oncogene». L’autore principale della pubblicazione è il professor Marco Falasca del Curtin Health Innovation Research Institute e della Scuola di Farmacia e scienze biomediche della Curtin University che sottolinea come il Cbd sia in grado di aumentare l’efficacia della Gemcitabina, il farmaco usato per il trattamento del tumore al pancreas. «Questo studio - dice Falasca - dimostra che l’efficacia del trattamento chemioterapico nei nostri modelli murini (topi da laboratorio, ndr) aumenta notevolmente con l’uso di un particolare costituente della cannabis terapeutica». Con potenziali importanti implicazioni nel trattamento del tumore pancreatico negli umani, la cui aspettativa non si è molto modificata negli ultimi 40 anni «perché esistono pochi trattamenti disponibili, e spesso sono solo palliativi - aggiunge Falasca -. Solo il 7% dei pazienti con tumore al pancreas sopravvive per più di 5 anni dalla diagnosi della malattia, perciò è davvero urgente identificare nuovi trattamenti e strategie terapeutiche». La svolta data da questa ricerca è che i modelli murini sopravvivono tre volte più a lungo del normale se trattati con cannabidiolo in combinazione con la chemioterapia standard. Chiorino è in contatto con la Queen Mary di Londra con la quale ha già collaborato, e dove anche Falasca ha lavorato. Con Sacchetto ha definito come mai nel tumore pancreatico ci sia una sovraespressione del recettore Gpr55: «Stavano lavorando a questo progetto sull’uso del cannabidiolo, ma non capivano come mai vedevano una diminuzione della proteina p53 che di norma sopprime la crescita tumorale - dice Chiorino che ha avuto un’intuizione proprio riguardo alla proteina contribuendo a una parte della ricerca -. Nella maggioranza dei tumori pancreatici la proteina p53 non funziona perché il gene deputato alla sua produzione è mutato e non è in grado di bloccare la crescita del tumore né di inibire la produzione del recettore Gpr55, ma al contrario di favorirne una produzione anomala». Ora la sfida è la sperimentazione sull’uomo che grazie a questa ricerca, ha nuove chance di sopravvivere più a lungo. Francesca Fossati LaStampa.it/Biella

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