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07/08/2019

150mila laureati e diplomati emigrati in 5 anni. così l'Italia perde il suo futuro

Questo giugno, mentre si chiudevano i portoni delle aule magne e iniziavano gli esami, il Qs World University Rankings del 2020 citava la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa tra i primi dieci centri di ricerca al mondo e il Politecnico di Milano come la migliore università italiana, 149esima nel ranking globale. A luglio la classifica Europe Teaching Rankings 2019 del Times Higher Education ha confermato cinque atenei italiani (il Politecnico di Milano, con le università di Bologna, Siena, Pisa e Pavia) tra i primi cento in Europa. Ma queste quotazioni non devono illudere: se aumenta la reputazione di una manciata di università italiane, altre decine perdono finanziamenti, posizioni nei ranking internazionali e, di conseguenza, studenti. Nel 2019 l’Istat ha stimato che la fuga dei cervelli esplosa con la crisi del 2008 ha le dimensioni di una città più popolosa di Bologna: in dieci anni l’Italia ha perso circa 420 mila residenti. La metà di questi ha un’età compresa tra i 20 e i 34 anni, e per due terzi hanno un’istruzione medio-alta. Sempre secondo i rilevamenti dell’Istat, nell’esodo si sono persi più di 156 mila tra laureati (+33%) e diplomati (+42%) tra il 2013 e il 2017, con un tasso di crescita delle partenze che nel 2017 è aumentato del 4% rispetto al 2016. Quasi la metà dei laureati intervistati per il report di AlmaLaurea del 2019 confessa di essere pronta a trasferirsi all’estero. Come si può intuire dalle percentuali sull’età e sui diplomati, il flusso che svuota l’Italia del suo futuro inizia sempre più spesso appena dopo il diploma. Anche i rettori italiani ammettono una contrazione delle iscrizioni negli atenei di oltre 40mila matricole tra il 2013 e il 2017, il 13% in meno. “Si parte per le specializzazioni, i master e i dottorati come ha fatto mia figlia, ma ormai anche per le lauree triennali”, conferma la giornalista e autrice di Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza, Assunta Sarlo, madre di due giovani expat. “Il fenomeno è sempre più precoce e indica che il meccanismo di ricambio generazionale si è totalmente inceppato. Tanti ragazzi hanno la sensazione che il Paese si disinteressi a loro, non li consideri come soggetti”. Questa diaspora ha origine soprattutto dalla disoccupazione nel Sud Italia, ma da lì i giovani partono ormai per il Nord dell’Europa e non dell’Italia. Il fenomeno, però, riguarda tutto il Paese, dato che la Lombardia spicca nelle statistiche come prima regione per numero di espatriati: da Milano, sede del Politecnico e dell’università Bocconi che attrae migliaia di stranieri, diversi millennial fanno le valigie per raggiungere le migliori facoltà della Gran Bretagna, dell’Olanda e della Germania. Questa formazione internazionale a volte inizia già con un anno scolastico all’estero. Tra un campione di una decina di teenager che abbiamo contattato, in procinto di iniziare questa esperienza in Europa, negli Stati Uniti, in Asia e in Oceania, più della metà non si immagina in futuro con una famiglia e un lavoro in Italia. Giada, 16enne milanese, dopo l’anno in Australia e la maturità pensa di “studiare in America o comunque fuori”. Margherita, 17 anni anche lei del capoluogo lombardo, è “un po’ dispiaciuta a lasciare l’Italia per un anno nel Regno Unito”, ma anche dopo si “vede più all’estero”. Celeste, 16enne di Milano pronta a frequentare sei mesi di scuola a Sydney, è decisa come altri suoi coetanei “a non continuare una vita in Italia per le poche opportunità”. DI BARBARA CIOLLI Thevision

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